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CONCETTO GUTTUSO NELL’INTERVISTA DI OSCAR NALESINI
Concetto Guttuso, classe 1921, è un medico tropicalista della Marina Militare e con una lunga carriera nell Organizzazione Mondiale della Sanità, iniziata nel 1958. La sua prima esperienza importante all’esterò fu come medico della spedizione di Giuseppe Tucci, esploratore orientalista, attraverso il Nepal occidentale nel 1952.
- Dopo la Laurea in Medicina Lei si specializzò in malattie tropicali e mi pare si sia ben presto indirizzato allo studio della malaria che fino a pochi decenni fa non era una malattia tanto esotica. Immagino che anche in Sicilia il problema fosse sentito.
- In Sicilia la malaria c’era, eccome. In un suo racconto, Giovanni Verga scriveva che nella piana di Catania la malaria si poteva tagliare col coltello!
- Lei lavorava presso la Clinica Chirurgica della Regia Università di Catania e ad un certo momento entra in scena la Marina militare.
- La mia vocazione per le malattie tropicali era stata un completamento alla passione per la Marina, le cui radici affondano nei miei ricordi d’infanzia, alle fotografìe che mi vedono bambino, serio, “vestito alla marinara” e al libro di lettura di quinta elementare, con le appendici “La flotta da guerra” e “Come gli italiani hanno esplorato l’Africa”. Quei capitoli li ho letti centinaia di volte, facendomi sognare anche da adolescente. Più tardi, già medico, nell’estate 1949 sono stato letteralmente folgorato dal manifesto dell’Accademia Navale che, mostrando una nave e delle vele in regata, indiceva i concorsi anche per ufficiali medici. Proprio così: in cerca di orizzonti più vasti, la Marina e le malattie tropicali mi fecero raggiungere quei sogni del mio libro di quinta elementare.
- Con simili sogni l’esplorazione di un’area remota dell’Himalaya doveva sembrarle molto stimolante. Come riesce a farsi accettare quale membro della spedizione di Tucci, orientalista ed esploratore?
- Completato il primo anno di specializzazione alla Clinica di Malattie Tropicali a Roma, sono destinato a Maricentrosub, La Spezia, che per fortuna trovo interessante e impegnativo. Nel febbraio ’52, nella terza pagina del “Corriere della Sera” leggo un articolo dedicato a Tucci che, tra l’altro, dice di non avere ancora trovato un tropicalista medico-fotografo per la sua quarta spedizione nel Nepal.
- Dunque, Lei legge l’articolo, e cosa fa?
- Scrivo subito a Tucci offrendogli i miei servizi e coscienziosamente comincio a studiare, più che leggere, i libri dei suoi viaggi nel Tibet. Non avendo ricevuto risposta, sollecito Tucci con altre quattro lettere. Anche queste restano senza risposta. Verso la fine del marzo ’52 partecipo a regate d’alto mare. Alla fine dell’ultima, Messina-Taranto, rientrando a La Spezia, mi fermo a Roma per rivedere i miei amici di Malattie Tropicali. Verso mezzogiorno, all’ingresso della Clinica c’è una gran folla di visitatori e ad un certo punto il portiere ad alta voce chiama «Prof. Tucci… Prof. Tucci…», per aiutarlo a passare. In uniforme, abbronzato dalle regate, mi presento a Tucci che si scusa per non avere risposto alla mie lettere e alle altre centinaia di lettere da medici-fotografi, molti dei quali sono anche disposti ad autofinanziarsi. Dopo avermi letteralmente ispezionato e informatosi dove avevo studiato, Tucci conclude con un «Lei mi piace, non vada via, la faccio chiamare io e ci mettiamo d’accordo».
- Tutto ciò richiedeva un lungo allontanamento dal servizio della Marina.
- Tucci ottiene il mio incarico direttamente dallo stesso Capo di Stato Maggiore, Ammiraglio Ferreri, che a sua volta vuole conoscermi di persona per assicurarsi che in realtà voglia espormi ai rischi di una spedizione Tucci. Prima di partire, la Marina mi destina a Roma per un lungo periodo durante il quale, per meglio conoscerci e intenderci, giornalmente frequento Tucci che mi presenta i suoi amici medici, luminari dell’epoca, e ultimo, ma non meno importante, mi fa conoscere anche Tzering, il suo cane tibetano, che ha il talento di distinguere negli uomini i buoni dai cattivi: test nel quale Tucci crede e che fortunatamente supero.
- E non Le fa superare anche un test da fotografo?
- Solo ora mi rendo conto che Tucci, allora, non valutò la mia abilità da fotografo. Forse, dopo avermi “ispezionato” al primo incontro, mi aveva accettato a scatola chiusa.
- Anche perché della spedizione faceva parte la moglie di Tucci, Francesca Bonardi, che era appunto fotografa. Avere un medico affidabile era a quel punto più importante.
- Sin dall’inizio Tucci aveva tenuto in gran stima la mia professione; stima destinata ad aumentare progredendo nel viaggio. Nella prefazione di Tra Giungle e Pagode, ed anche nel corso del racconto, Tucci ha avuto parole encomiabili per l’opera che ho prestato a favore dei malati che aspettavano nei campi dove ci sistemavamo dopo un lungo e faticoso giorno di marcia. In questa spedizione il medico era diventato un operatore socio-umanitario che non era stato previsto ma per il quale avevo la vocazione.
- Quali rapporti intrattenne con loro durante la spedizione? Glielo chiedo perché Tucci non è famoso per essere stato alla mano …
- Più che diffìcile Tucci era esigente. Pretendeva che i collaboratori si dedicassero, anima e corpo, ai compiti che assegnava loro e se non lo facevano s’arrabbiava, eccome. Nonostante le nozioni tecniche fossero al di là della sua comprensione, Tucci, ricco di esperienze eccezionali, era un ottimo organizzatore. Per esempio, volendo limitare il numero dei portatori aveva deciso di non portare alimenti in scatola per il nostro viaggio; nemmeno per un’eventuale emergenza. Egli era certo che lungo il percorso avremmo trovato riso e polli e per i quattro mesi un buon curry giornaliero sarebbe stata un’ottima dieta; e così fu. Spesso, sapendo che li avremmo pagati, i miei pazienti ci portarono alimenti freschi. I nostri rapporti sono stati affabili, piacevoli e sempre improntati a rispetto reciproco.